Cina: economia In ristrutturazione | ISPI

Ambizioni al ribasso 

I risultati migliori possibili”. Questo è l’obiettivo economico a cui il Politburo cinese ieri ha annunciato di ambire. Una mancanza di precisione quanto mai anticonvenzionale per una Cina abituata a programmare i decimali dei suoi obiettivi di crescita. Ma il +5,5% del PIL inizialmente annunciato per il 2022 non sarà raggiunto di almeno un paio di punti percentuali: un fallimento da far passare in sordina nell’anno in cui Xi cerca il suo terzo mandato.

Nel secondo trimestre, l’economia cinese, alle prese con i ripetuti lockdown, è cresciuta solo dello 0,4%. Ma anche senza considerare la pandemia, Pechino fa i conti con problemi strutturali. Come il peggior crollo di sempre del mercato immobiliare le cui vendite sono in calo da undici mesi consecutivi.

Lavori in corso

Negli ultimi due anni, Pechino ha attutato una stretta del credito al settore immobiliare per calmierare i prezzi delle abitazioni e limitare le speculazioni sul mattone. Misure che hanno però portato al default numerosi costruttori cinesi, tra cui il colosso Evergrande, con un passivo di oltre 300 miliardi di dollari, chiamato a presentare questa settimana un piano di ristrutturazione preliminare.

Di conseguenza, i costruttori cinesi hanno sospeso i lavori di costruzione di ben 8 milioni di abitazioni. Per evitare che un numero crescente di acquirenti di case smetta di pagare i propri mutui (o peggio scenda in piazza), Pechino è tornata sui suoi passi: Bank of China e le banche commerciali statali puntano ora a mobilitare 148 miliardi di dollari di prestiti per il settore.

Debt and road initiative

Quello del settore immobiliare non è l’unico debito che preoccupa la Cina. La Belt and Road Initiative (BRI), solo cinque anni definita da Xi Jinping il “progetto del secolo”, si sta trasformando nella prima crisi del debito cinese all’estero.

La partecipazione di nazioni fortemente indebitate o persino in default (Sri Lanka e Zambia) ha costretto le istituzioni finanziarie cinesi a rinegoziare, negli ultimi due anni, 52 miliardi di dollari di prestiti concessi a progetti BRI in questi Paesi. Più del triplo dei 16 miliardi dello scorso biennio. Non una bella notizia, considerando come la Cina sia la più grande fonte di credito allo sviluppo per il resto del mondo. Più della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale.

Complice la recessione tecnica negli USA, la locomotiva economica del mondo è in panne?

 

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