Palazzi fantasma alla Regione – Buttanissima Sicilia

Per il secondo anno di fila le Sezioni riunite della Corte dei Conti non hanno parificato il rendiconto della Regione siciliana. Ma non si tratta di un accanimento contro Schifani, come vorrebbe far credere il presidente della Regione in maniera un po’ sboccata. Bensì della bocciatura di un metodo che risale alle precedenti amministrazioni e a un assessore in particolare, Gaetano Armao. Lo stesso che Schifani ha messo a capo della Cts, la Commissione tecnico-scientifica incaricata di produrre i pareri ambientali, ma soprattutto a cui ha affidato la gestione dei fondi extraregionali (dopo aver scippato la delega alla Programmazione a Marco Falcone). La Corte dei Conti, per il secondo anno di fila, dice a Schifani che forse s’è fidato dell’uomo sbagliato, ed evidenzia altresì alcune pecche che vanno oltre il giudizio di legittimità costituzionale (delegato appunto alla Consulta) sulla spalmatura del disavanzo da oltre un miliardo.

Ad esempio, sia nella requisitoria della pm Maria Rachele Aronica che nella relazione dei giudici contabili, emerge un guaio senza tempo, di cui lo stesso Armao sarà senz’altro a conoscenza: “Appare ancora irrisolta – si legge nella relazione dei giudici – la problematica riguardante la “ricognizione straordinaria del patrimonio” e la conseguente “rideterminazione del suo corretto valore”, così come previsto dal paragrafo 9.2 dell’allegato 4.3 del decreto legislativo n. 118/2011, sia con riferimento alla classificazione delle voci del patrimonio, sia per quanto riguarda i criteri di valutazione”. In sostanza, lo Stato Patrimoniale della Regione, già bocciato nell’ultima di parificazione del Rendiconto 2020, continua a rappresentare un bug di sistema per l’amministrazione regionale. Che nell’ultimo mese ha fatto il possibile per ri-entrare in possesso dei palazzi svenduti al Fondo Fiprs nel 2007 (con il collegato-ter il governo ha messo sul piatto 70 milioni per l’acquisizione del 65% del fondo, tuttora controllato da ‘privati’), ma non ha fatto nulla per conoscere il reale valore di tutti gli immobili che già rientrano sotto il suo controllo.

Il censimento immobiliare affidato a Bigotti, e mai realizzato (nonostante uno scandalo da 110 milioni di euro), ancora oggi lede i conti pubblici della Sicilia e influenza la credibilità della sua immagine. Sicilia Patrimonio Immobiliare, che doveva occuparsi della mappatura, è una società in liquidazione; Ezio Bigotti, il noto avventuriero di Pinerolo che arrivò a un contenzioso con la Regione dopo aver fatturato uno sproposito per conto di Spi, di cui era socio privato di maggioranza, ha attraversato ben altre peripezie giudiziarie. Ma nessuno, in quest’arco di tempo, è riuscito ad assolvere i doveri dell’Ente. Il censimento rinvenuto qualche tempo fa nei server della Spi, tenuti a lungo sotto chiave (con Armao, che da assessore all’Economia del governo Musumeci, ha faticato a procurarsi la password), è stato ritenuto “inservibile”. Pertanto bisognava ricominciare daccapo. In più di un’occasione, nell’ambito di alcune sessioni di bilancio, il precedente governo ha tentato di affidare l’arduo compito a professionisti esterni (senza riuscirci).

Ma neanche con risorse interne i risultati sono tangibili. Dalla relazione della Corte dei Conti, infatti, emerge che “dall’esame delle numerose note dei dipartimenti trasmesse dalla Ragioneria generale non risulta completata la ricognizione ordinaria e straordinaria del patrimonio, perlopiù a causa del mancato rilascio dell’applicativo, da parte di Sicilia digitale S.p.A., di implementazione del sistema GECORS”. Senza entrare troppo nei tecnicismi, si tratta di un software di “inventariazione/gestione dei beni immobili secondo i principi contabili del decreto legislativo n. 118/2011”, la cui assenza comporta la paralisi. Tra “le criticità più rilevanti che ostacolano il completamento della ricognizione straordinaria dei beni immobili nonché della loro corretta valorizzazione” ci sono inoltre “il ritardo nel completamento della ricognizione fisica degli immobili; l’assenza dei modelli informatizzati per la gestione degli immobili (modelli carico, scarico, etc..)”; e “l’assenza sino all’anno 2022, di una struttura di coordinamento per tale attività attribuita adesso al Dipartimento regionale Finanze”. “Anche con riferimento alla ricognizione straordinaria ed analitica degli oggetti d’arte (o di valore) – si legge nella relazione – permane la criticità già rilevata in passato”.

Questi sono compiti che, dato il blackout di Musumeci & Co., dovrebbe assolvere il nuovo governo Schifani. Ma fin qui, tabula rasa. L’unico passo che la Regione ha fatto sul fronte degli immobili, con le ultime variazioni di bilancio, è l’acquisizione del fondo immobiliare – di cui era socia al 35% – che possiede i 33 palazzi che nel 2007 la stessa Regione, a guida Cuffaro, decise di (s)vendere al Fiprs per poi diventarne affittuaria e scaricare, così, alcuni costi. L’ha spiegato di recente l’ex governatore: “Circa 90 milioni – ha detto Cuffaro ricordando l’operazione dell’epoca – sono rientrati nelle casse dell’amministrazione regionale rendendo l’operazione meno critica se non addirittura positiva, considerate Imu non pagate e manutenzioni non fatte”. Ma l’ultimo emendamento del governo, accolto anche dall’Aula, ha consentito alla Regione di acquisire lo stesso fondo immobiliare, cui finora venivano versati 20 milioni di fitti passivi l’anno, per rientrare in possesso di quegli edifici.

Un’operazione contestata da Sud Chiama Nord di Cateno De Luca: “Abbiamo chiesto una valutazione accurata dei rischi associati a questa operazione e la massima trasparenza. È un’operazione molto azzardata quella portata avanti dal Governo in termini ragionieristici. Non vogliamo dire che il Presidente di allora Cuffaro ha svenduto i beni immobili e suo fratello (attuale direttore del Dipartimento Finanze, ndr) oggi li ha ricomprati, ma chiedere chiarezza su ciò che ai più appare come una vera e propria “sola”. Ad acquistare nel 2007 infatti fu il fondo Pirelli Real Estate, poi trasformati nell’attuale Prelios. La Regione targata Cuffaro si impegnò a vendere e a riaffittare subito i palazzi per un canone annuo di 20,9 milioni. Oggi la svolta: la Regione decide di riacquistare”.

Per fortuna, stando agli ultimi rilievi dei giudici contabili, è stata evitata la gabola prospettata fino a qualche tempo fa: e cioè che i palazzi fossero acquistati dal Fondo Pensioni dei dipendenti regionali, come proponeva di fare un emendamento proposto dall’assessore Marco Falcone e poi stralciato dal testo. Nella relazione della sezione di controllo della Corte dei Conti, infatti, emerge che “stante l’esiguità del personale assegnato, con il quale il Fondo riesce a stento a portare a termine i propri fini istituzionali, appare improbabile che lo stesso possa avere la potenzialità di gestire in futuro un patrimonio immobiliare con i connessi oneri amministrativi e finanziari di manutenzione ordinaria, straordinaria, eventuali appalti per opere di ristrutturazione, e quant’altro occorre per una corretta e puntuale conduzione e conservazione dei nuovi beni acquisiti al proprio patrimonio”. Pericolo scampato. Per una volta la Regione si salva da una magra figura. Ma sul censimento del patrimonio immobiliare restano troppi lati oscuri e un lavoro non fatto. Chi potrà mai rimediare?

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