Il Ministero del Turismo ha appena approvato il disegno di legge che potrebbe segnare la svolta nella disciplina degli affitti brevi, ponendo fine, si spera, al caos disciplinare che regna nel settore. IL Ddl Santanchè apre di fatto la strada al riconoscimento ufficiale della figura del property manager rendendo obbligatoria l’apertura di un codice specifico per la categoria, disciplinandone il ruolo di sostituto di imposta e introducendo delle sanzioni per chi “glissa” su questi doveri. Ma non è l’unica novità della nuova norma: vediamo insieme cosa dice il Ddl Santanchè sugli affitti turistici e il commento di Marco Celani, presidente Aigab.
Ddl Santanchè sugli affitti brevi: una sintesi
In sostanza, le novità introdotte dal Ddl Santanchè sugli affitti turistici sono le seguenti:
Articolo 1: una disciplina uniforme
L’Articolo 1 afferma la volontà di “fornire una disciplina uniforme a livello nazionale volta a fronteggiare il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento” mentre le sanzioni, previste dall’articolo 6, sono demandate ai Comuni e alle autorità di pubblica sicurezza, “ognuno per la propria competenza”.
Articolo 2: chi può esercitare la locazione breve
Con la definizione di “locazione per finalità turistiche” si fa esplicito riferimento a soggetti “che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici”, facendo ritenere che gli immobili promossi mediante gli affitti brevi possono essere gestiti esclusivamente da:
- I proprietari stessi, comunemente detti gli host;
- I property manager, a patto che siano dotati di una agenzia immobiliare;
- I portali telematici, comunemente dette OTA, tra cui ovviamente si devono intendere anche tutti i portali di promozione gestiti dai property manager stessi.
Si mantiene inalterato l’onere per l’intermediario o il gestore che incassa per conto del proprietario di raccolta e versamento della cedolare secca, come definito dal dl 50 del 2017 per il quale è ancora pendente la controversia presso la corte di giustizia europea con airbnb.
Articolo 3: Codice Identificativo Nazionale obbligatorio
Con l’articolo 3 (Codice identificativo nazionale) il DDL Santanchè rende obbligatorio il Codice Identificativo Nazionale (CIN) rispetto ai 20 Codici identificativi regionali (CIR) attualmente esistenti che vengono dunque mandati in soffitta. Sarà obbligatorio anche per le OTA (Online Travel Agency).
Articolo 4: soggiorno minimo di due notti
Con l’Articolo 4 (Limitazioni delle locazioni per finalità turistiche) si introduce un soggiorno minimo di due notti (minimum stay) per i Comuni ad alta densità turistica che, secondo ISTAT, sono poco meno di 1000 sui 78882 Comuni italiani.
Articolo 5: codice Ateco
IL DDL apre la strada al riconoscimento ufficiale della figura del property manager con l’art. 5 (Locazione per finalità turistiche in forma imprenditoriale) in cui si demanda all’ISTAT l’apertura di un Codice Ateco specifico per la categoria confermando l’obbligatorietà per i property manager di agire da sostituto d’imposta raccogliendo e versando per conto dei proprietari la cedolare secca.
Articolo 6: sanzioni agli abusivi
Con l’articolo 6 si definiscono delle sanzioni a carico di tutti i soggetti (OTA, proprietari e property manager) che disattendano l’obbligo di CIN.
Soddisfazione, ovviamente, da parte di Aigab, l’Associazione dei property manager in Italia, che vedono accolte le istanze che da tempo portano avanti per un riconoscimento del ruolo di gestore professionale e di disciplina normativa che tuteli il business degli affitti brevi senza intaccare il patrimonio immobiliare residenziale.
“Il legislatore introduce, o meglio riafferma, l’obbligatorietà del di un codice identificativo nazionale, il CIN, che viene chiarito, può essere chiesto dal proprietario o da un gestore, – nota Marco Celani, presidente Aigab. –
Si tratta di un importante riconoscimento al ruolo dei gestori che esplicitamente possono, come già avviene in molte regioni italiane, diventare gli intestatari del CIN,
sbarrando la strada ad alcune amministrazioni che oggi vietano incomprensibilmente ai gestori che agiscono in forza di un contratto con i proprietari quali loro delegati nella gestione dell’immobile. Un elemento di novità inoltre è che il DDL stabilisce che il codice identificativo nazionale sostituisce quello regionale, anche quando ne è stato assegnato uno, affermando la supremazia del diritto del ministero del turismo a centralizzare l’attività di raccolta informazioni, anche se rimangono le regioni i soggetti che dovranno concedere i CIN, mentre saranno i comuni a dover controllare l’applicazione del CIN su tutte le piattaforme e su tutti i canali di promozioni, incluso il portone dell’immobile”.
Come è disciplinato, ad oggi, l’obbligo di Cin per le piattaforme di affitto breve?
“Anche oggi le piattaforme hanno l’obbligo di esporre il codice identificativo che è al momento regionale, – risponde Celani, –
ma in carenza di controlli e di blocchi automatici è impossibile per i portali inserire blocchi senza aver concordato con le regioni la struttura dei codici.
In altre parole, l’operatore illegale può inventarsi un codice, inserirlo nel portale che non ha oggi modo di controllare e nessuno ha modo di controllare. La speranza è che con il CIN sia la stessa banca dati ad inviare i codici alle piattaforme, chiedendo loro di bloccare i codici non riconosciuti (come avvenuto in Grecia ad inizio anno, dando risultati incredibili in tema di lotta all’abusivismo e al sommerso)”.
Come funzionerà il Codice Identificativo Nazionale ora?
“È definito che sarà il MITUR ad inserire i CIN ricevuti dalle regioni nella banca dati nazionale (già istituita nel 2019) – segnala Celani, – con modalità che però dovranno essere concordate con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, che vuol dire che se non si trova l’accordo con le regioni la banca dati, sulla quale si sono già fatti molti investimenti, potrebbe restare lettera morta.
Ricordiamo che la banca dati non si occupa solo di affitti brevi, ma anche di strutture ricettive in generale,
quindi il MITUR chiede alle regioni di trasmettere dati relativi ad alberghi, B&B, agriturismi, rifugi alpini, campeggi, dimore storiche, affittacamere, residence e cabine delle navi da crociera (tutte le categorie che ISTAT individua come strutture ricettive)”.
A quanto ammonteranno le sanzioni per gli hot senza Cin?
“Non esporre il CIN per ogni annuncio costerà all’host, al gestore o alla piattaforma da 300 a 3000€, mentre il proprietario privo di CIN rischierà una sanzione da 500 a 5000€.
Il controllo e la sanzione spetteranno ai vigili comunali o alla polizia, non è chiaro con che perimetro. Ipotizziamo un controllo sui portoni per i vigili, un controllo sui portali per la polizia postale, ma non è così specificato nel DDL.
Il soggiorno turistico minimo sarà di due notti, è giusto?
“L’art. 4 introduce una nuova e stringente limitazione, quella del minimum stay a 2 notti. L’ambito di applicazione è da approfondire. Sicuramente non si potrà affittare per meno di 2 notti nei 14 comuni metropolitani. Si fa riferimento poi ai comuni a densità turistica alta e molto alta (quarto e quinto quintile di una tabella ISTAT) nei quali chi vorrà pernottare una notte dovrà andare in hotel, ammesso che ne trovi uno. Saranno esentati da questa limitazione i comuni con meno di 5000 abitanti a bassa densità turistica.
Curiosamente sarebbero esentate da questa restrizione le famiglie numerose, identificate come quelle con almeno un genitore e 3 figli, che invece potranno sempre dormire una notte nelle case promosse online”.
Quale sarà l’impatto economico del soggiorno minimo di due notti?
“Il numero di soggiorni di una notte pesa all’incirca un 5% del valore delle prenotazioni nel mondo affitti brevi, l’impatto economico di questa misura è sicuramente depressivo, ipotizzando che solo una parte verrà recuperata dal mondo alberghiero e una parte si trasformerà in allungamento di pernotti altrove o in nero. In modo pragmatico, anche per le famiglie numerose sarà difficile pernottare una notte, dal momento che, chi si adeguerà alla normativa applicherà un minimum stay di due notti e sul mercato non si dovrebbero più trovare la possibilità di soggiornare due notti perché nessuno potrà, anche per motivi di privacy, verificare la consistenza dei nuclei familiari (chi assicura ai gestori che il prenotante non stia dichiarano un adulto e 3 figli presentandosi poi con due adulti e due bambini?)”
Cosa significa la nascita di un codice Ateco per i property manager?
L’art 5 se correttamente interpretato stabilisce il riconoscimento formale del ruolo del gestore professionale, non tanto con l’obbligo di segnalazione certificata di inizio attività, già in vigore dal 1990 e assolto dai gestori professionali, ma con la richiesta all’ISTAT di fornire un codice ATECO specifico che finalmente identifichi la categoria. Questo ci appare come uno degli aspetti più importanti della normativa in quanto
finalmente la categoria potrà essere misurata, riconosciuta e qualificata come un alleato delle istituzioni nella gestione di un patrimonio che produce reddito
e sempre di più sarà valorizzata come un elemento portante della componente turistico ricettivo dell’industria turismo italiana.