In una città in cui trovare una casa è complicato per quasi tutti, una struttura accoglie 23 persone che non ci riescono per via di contratti molto precari
di Isaia Invernizzi, foto e video di Valentina Lovato
Sulla bacheca di compensato appesa all’ingresso della struttura Fantoni, una delle tante che a Bologna accolgono le persone senzatetto, sono appuntati fogli con gli annunci immobiliari più convenienti della città. Le foto delle case sono in bianco e nero, il numero di telefono dei proprietari e il prezzo dell’affitto evidenziati in giallo brillante. Seicento euro al mese per un trilocale in via Camillo Ranzani, nel quartiere San Donato, abbastanza vicino alla stazione. Mille euro per un trilocale a Casalecchio di Reno, a una ventina di minuti in auto dal centro. Nessun annuncio è al di sotto dei quattrocento euro al mese.
Il prezzo non è un problema di per sé: i 23 ospiti della struttura Fantoni, infatti, hanno un lavoro regolare, un’entrata ogni mese e qualche risparmio. Sono magazzinieri, facchini, addetti alla sicurezza, elettricisti, ma hanno quasi tutti contratti precari, spesso rinnovati ogni tre mesi o peggio, di mese in mese. E senza un lavoro a tempo indeterminato o garanzie, per loro è quasi impossibile trovare una casa, anche soltanto una stanza. Per questo sono stati accolti qui, in uno dei primi e pochi luoghi in Italia che ospitano persone in una condizione per certi versi paradossale, quella di senzatetto lavoratori.
Non sono gli unici a cercare affannosamente una casa a Bologna. Ogni giorno studenti universitari, italiani, stranieri, lavoratori autonomi e dipendenti, poveri e ricchi, vivono la stessa frustrazione. «Non trovo casa nemmeno io», ha ammesso il sindaco Matteo Lepore all’inizio di dicembre. Non è un problema nuovo e non interessa soltanto Bologna, ma a Bologna sembra essere più grave e urgente rispetto ad altre città.
Negli ultimi anni sono stati commissionati studi per capire le cause della cosiddetta emergenza abitativa, sono stati fatti appelli e organizzate manifestazioni per sensibilizzare gli abitanti e le istituzioni. Ma per due anni la pandemia ha attirato le attenzioni: leggendo i giornali locali sembra che la situazione sia peggiorata all’improvviso, nell’ultimo anno, in realtà il ritorno alla normalità ha reso più evidenti i problemi nascosti e accumulati nell’ultimo decennio.
Se la si guarda dall’alto, Bologna sembra avere la forma di una ruota di bicicletta. I suoi raggi sono le strade principali che portano verso il centro. Tra le altre, ci sono via Stalingrado, via Mazzini, viale Togliatti. Si possono notare anche cerchi concentrici, le antiche cerchie murarie, sempre più ampie man mano che si va verso le periferie. Non è una città molto grande. In uno spazio relativamente ristretto i quasi 400mila abitanti convivono con circa 70mila studenti che frequentano l’Alma mater, una delle più antiche università del mondo, e negli ultimi anni con altre migliaia di turisti attirati da voli poco costosi e dall’investimento sul turismo gastronomico fatto nell’ultimo decennio da quasi tutte le città emiliane.
La concorrenza per le case iniziò dagli anni Novanta per via di un aumento significativo degli iscritti all’università e della carenza di studentati, cioè di residenze dedicate agli studenti. La crescita dei prezzi portò molti abitanti a spostarsi verso i comuni dell’hinterland, che da allora si sono notevolmente ingranditi. L’esodo, tuttavia, non bastò a controllare la domanda di alloggi sempre più alta.
Le cose sono peggiorate dal 2010, quando molti proprietari di case iniziarono ad assecondare l’arrivo di turisti attraverso gli affitti brevi. La piattaforma Airbnb, che ha trasformato il mercato immobiliare di molte città italiane, ha tolto migliaia di case dalla disponibilità degli affitti a lungo termine. Secondo i dati più recenti pubblicati da Inside Airbnb, un progetto indipendente che misura l’impatto degli affitti brevi in molte città, a Bologna sono disponibili 3.808 alloggi. Fino a cinque anni fa gli annunci erano circa la metà.
L’assenza di una programmazione urbanistica lungimirante, di piani per la riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico, di progetti per la costruzione di nuovi studentati, e in definitiva una certa indifferenza nei confronti dei problemi ormai evidenti hanno creato le condizioni per la situazione attuale. Le case sono pochissime e trovarne una è molto complicato per chiunque. E in particolare per gli ospiti della struttura Fantoni, che non hanno contratti di lavoro regolari o continuativi.
Le due grandi camerate sono state allestite al piano terra e al primo piano di una vecchia casa colonica ristrutturata nel 2019. Si trova in via Francesco Fantoni, nella periferia a est di Bologna, tra il parco tematico alimentare FICO e il Link, una nota discoteca. Nel cortile si aggirano diverse galline e un gallo che canta in continuazione. Alcuni cartelli con scritte in stampatello ricordano le regole da osservare: la cucina resta chiusa dalla mezzanotte alle sei, la lavatrice può essere usata solo dalle nove di mattina. Il sole entra dalle ampie vetrate e scalda la zona comune con i tavoli dove si cena, un biliardino, un divano posizionato di fronte al televisore. Di giorno non c’è quasi nessuno: alcuni ospiti si riposano dopo il turno di notte, mentre gli altri sono tutti al lavoro.
Malan Kassama ha 37 anni, è in Italia dal 2017. In Guinea Bissau era un falegname, costruiva mobili e tetti, qui lavora per un’azienda della logistica in uno dei grandi capannoni nell’hinterland di Bologna, luogo strategico dove si incrociano diversi flussi di merci. Il suo turno inizia alle 4 di mattina. È un lavoro faticoso e precario: a Kassama viene rinnovato il contratto ogni mese. Fino allo scorso anno ha abitato a San Giorgio di Piano, un piccolo paese a mezz’ora di auto da Bologna, in una casa insieme ad altri lavoratori stranieri. Era in subaffitto e per questo ha dovuto lasciare la sua stanza. «Ho cercato ovunque una sistemazione, in città e in provincia, ma tutti mi hanno chiesto un contratto a tempo indeterminato, fideiussioni bancarie o garanzie che non ho», dice.
Con un lavoro, ma senza una casa, Kassama si è ritrovato a dormire in strada. Lo ha fatto per cinque mesi fino all’inizio dell’anno, quando è stato accolto nella struttura Fantoni. Dice che qui si trova bene. Condividere la camerata e le preoccupazioni con altri lavoratori senzatetto è un sollievo, anche se prova sconforto per non essere ancora riuscito a portare in Italia la sua famiglia. In Guinea Bissau ha lasciato la moglie e tre figli, due gemelli di dieci anni e Mariama, una ragazza di 13 anni. Nonostante abbia uno stipendio, il precariato è un ostacolo troppo grande.
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Gli operatori e le operatrici che lavorano nella struttura Fantoni aiutano gli ospiti a controllare e selezionare gli annunci online. Sulla bacheca all’ingresso finiscono solo quelli più interessanti. La ricerca viene fatta sui portali immobiliari e sui gruppi Facebook, che a Bologna sono molto frequentati. “Offro/cerco casa a Bologna” è il riferimento per gli studenti. Ogni post, anche annunci di case al limite dell’abitabilità, riceve commenti di persone interessate in pochissimi minuti.
I lavoratori senzatetto, così come gli operatori che danno loro una mano nella ricerca, hanno ascoltato più volte le ragioni dei proprietari. La richiesta di garanzie e pagamenti anticipati è una prassi introdotta per via della diffidenza nei confronti degli studenti universitari e dal timore che possano causare danni alla casa e problemi con il vicinato. Queste condizioni, unite all’opportunità di guadagnare di più e alla certezza di ricevere i soldi alla fine del mese, hanno convinto molti a scegliere Airbnb. Molti, inoltre, temono che gli inquilini stranieri non paghino l’affitto: le garanzie e i sostanziosi anticipi servono a prevenire l’impossibilità di sfrattarli. Le cautele sono spesso spropositate e danneggiano soprattutto chi ha un contratto a tempo determinato.
«I contratti sono più precari rispetto al passato e la barriera di accessibilità degli affitti si è alzata: è un divario che si è molto ampliato negli ultimi anni», spiega Silvia Burnelli, coordinatrice della struttura Fantoni gestita dalla cooperativa Open Group. La gestione della struttura ha seguito il divario di cui parla Burnelli. Da semplice dormitorio per senzatetto utilizzato soltanto nei mesi invernali, dal 2019 si è prima trasformato in un alloggio temporaneo per la cosiddetta transizione abitativa, cioè per le persone in difficoltà che stanno per trovare una sistemazione, poi in una struttura per senzatetto lavoratori.
Un ospite, che preferisce rimanere anonimo per evitare conseguenze sul lavoro, negli ultimi tempi ha parlato con tre proprietari di case per convincerli ad affittargli una stanza. Pensava di dover trattare, invece non c’è stata nemmeno la possibilità. «Quando ho accennato al mio contratto, precario, rinnovato ogni tre mesi, mi hanno detto ciao ciao», dice. Nell’ultimo anno ha evitato di iscriversi alle agenzie private, nate grazie alla crisi abitativa, che promettono di trovare annunci sicuri a fronte di un pagamento di 250 euro. «Molti continuano a cascarci, io non mi sono fatto fregare», dice con orgoglio.
La sua vicenda è esemplare di come le cose siano peggiorate con la pandemia. Arrivato qui 17 anni fa, è ormai bolognese a tutti gli effetti: «Soccia, certo che sì», dice sfoggiando un caratteristico intercalare. Per anni ha lavorato come autista per un albergo, chiuso dal 2020 a causa delle restrizioni dovute alla pandemia. Tornato nel suo paese per stare con i famigliari, è ritornato a Bologna alla fine del 2021. Non ha avuto grossi problemi a trovare un lavoro, mentre per mesi ha cercato invano una casa.
Si è arrangiato per qualche tempo, poi all’inizio del 2022 è finito per la prima volta a dormire in strada fino a quando non è stato accolto alla Fantoni. «Sono sincero: ho dormito benissimo», prova a sdrammatizzare. Ma ritrovarsi in una struttura per senzatetto a quasi 50 anni è una situazione che non accetta, per di più in una città che ormai sente come casa sua. Se non troverà almeno una stanza entro la fine dell’anno, lascerà Bologna per andare all’estero, in Spagna o negli Stati Uniti.
Nelle ultime settimane sono emersi nuovi segnali della crisi abitativa bolognese, più discussi nel dibattito pubblico rispetto alle condizioni dei senzatetto lavoratori, di cui si parla poco.
Per la prima volta negli ultimi dieci anni, per esempio, il numero delle nuove matricole universitarie è diminuito. Si sono iscritti 24.421 studenti, 1.827 in meno rispetto allo scorso anno. Secondo il prorettore alla didattica, Roberto Vecchi, il prezzo elevato degli affitti è una componente che ha inciso sul calo delle iscrizioni, ma non la principale. «Il calo era atteso nel senso che era già annunciato nella diminuzione di iscritti nelle altre università già registrato lo scorso anno. Doveva arrivare anche da noi», ha detto Vecchi.
Molti osservatori concordano: se la disponibilità di case e alloggi non aumenterà, Bologna rischia di diventare molto meno attraente rispetto al passato, e di trasformarsi in poco tempo in una città esclusivamente turistica. Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, nota società di consulenza di Bologna, ha avvertito sulle possibili conseguenze dovute alle nuove difficoltà di accedere ai mutui. Parte della domanda di acquisto, sostiene, si sposterà verso gli affitti, un’ulteriore concorrenza. «Le fasce di reddito medio alto una soluzione riusciranno comunque a trovarla, mentre per altri il mercato diventerà inaccessibile», ha detto.
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Anche i pochi tentativi di riequilibrare il mercato fatti negli ultimi anni non hanno avuto esiti soddisfacenti. Lo scorso anno il comune ha rinnovato l’accordo per incentivare il canone concordato, un contratto di affitto regolato a prezzi più bassi rispetto al mercato: il prezzo dell’affitto viene appunto concordato dalle amministrazioni comunali con le associazioni di categoria e i sindacati che rappresentano gli inquilini. Ai proprietari vengono concesse alcune agevolazioni fiscali, che a Bologna sembrano essere poco competitive rispetto alle opportunità e ai guadagni offerti dal mercato.
Chi pensava che la costruzione di nuovi studentati potesse rispondere alle richieste degli studenti ha dovuto ricredersi di fronte ai prezzi. Molte residenze gestite da privati, come l’olandese The Social Hub o l’italiana Camplus, propongono posti letto a prezzi mensili molto alti, da 660 euro al mese per una doppia, fino a oltre mille euro per una singola.
A metà ottobre un nuovo studentato di fascia alta, il Laude Living gestito da Beyoo, da 513 posti letto, è stato occupato dal Collettivo universitario autonomo (CUA) pochi giorni prima dell’inaugurazione. «Affitti alle stelle, borse di studio insufficienti, case fatiscenti, pochissimi annunci di stanze, padroni di casa strozzini, insufficienza delle infrastrutture pubbliche, e ultimo ma non ultimo: totale sottomissione al grande, splendido mondo dei privati», ha scritto il collettivo nella nota in cui ha annunciato l’occupazione poi interrotta dopo che la proprietà si è resa disponibile a destinare parte dell’immobile all’emergenza abitativa.
Il sindaco Matteo Lepore, esponente del Partito Democratico, ha recentemente annunciato un “piano per l’abitare”, in sostanza la costruzione di nuove case per aumentare l’offerta e in questo modo cercare di far abbassare i prezzi degli affitti. Lepore ha spiegato che serve un nuovo «stock abitativo», mirato e concentrato, adeguato allo sviluppo del trasporto pubblico, senza nuovo consumo di suolo. «Non vogliamo allargarci all’infinito, ma rafforzare la densità della città. Per questo vogliamo lavorare sulle aree dismesse e militari per arrivare a un mercato dell’affitto più inclusivo», ha detto in un’intervista al Corriere di Bologna.
Lo scorso anno il comune ha acquisito il 40 per cento dell’ex scalo ferroviario del quartiere Ravone tra via Zanardi, via Casarini e il Lazzaretto, in totale 140 mila metri quadrati vicino alla stazione. Le aree sono state comprate grazie ai fondi del PNRR, il piano di ripresa e resilienza, per costruire nuove case nell’ambito del cosiddetto housing sociale, nome con cui oggi vengono chiamate le case popolari. «Puntiamo a fare lo stesso con il Demanio in altre zone», ha promesso Lepore. «Intendiamo abbattere le rendite e i costi delle aree, rimettendole sul mercato o facendo interventi diretti».
Al momento l’azienda pubblica di servizi alla persona (ASP) ha un patrimonio di 1.480 immobili, mentre ACER, l’azienda casa Emilia-Romagna, ne ha 12 mila, di cui 738 non assegnati perché in manutenzione. Le nuove case, tuttavia, saranno disponibili soltanto tra qualche anno, al massimo entro il 2026. Sempre che tutto vada secondo i piani.
L’area vicino alla stazione dove il comune vuole costruire nuove case è anche la più ambita dai senzatetto ospiti della struttura Fantoni. Da lì ci si può spostare facilmente con i mezzi pubblici verso il posto di lavoro, sia in città che nelle zone industriali dell’hinterland. Molti di loro sono stati raggiunti da uno dei servizi che si occupano di assistere le persone in difficoltà. Come ogni anno, all’inizio di dicembre è stato organizzato il “piano freddo”, che assicura un posto ai circa 500 senzatetto che vivono in città. Quest’anno soltanto una trentina ha deciso di rimanere in strada durante i mesi invernali.
La rete di solidarietà organizzata dalle associazioni e dalle cooperative è capillare. È difficile che una persona in difficoltà non venga notata e aiutata, anche per iniziativa di singoli cittadini. L’attenzione che Bologna riserva alla marginalità sembra contraddire la descrizione di una città respingente, dove è quasi impossibile arrivare e abitare senza grossi sacrifici. È un paradosso molto evidente nel ruolo stesso della struttura Fantoni e nelle testimonianze dei suoi ospiti.
Nemmeno la presenza di senzatetto lavoratori ha rappresentato una motivazione abbastanza forte per cambiare radicalmente le cose, almeno fino alle recenti rassicurazioni degli amministratori, ora – sembra – decisi a intervenire per far tornare Bologna una città accogliente. «La conoscenza dei bisogni delle persone in difficoltà è merito del lavoro attento fatto durante tutto l’anno dai servizi comunali e dal terzo settore. Sappiamo con precisione quante sono le persone che vivono in strada e quale aiuto dare, in varie forme» dice Luca Rizzo Nervo, assessore comunale al Welfare.
L’apertura della struttura Fantoni, spiega, dimostra che il comune ha iniziato ad affrontare i limiti della società contemporanea, spesso ancora nascosti in altre grandi città. E cioè che il lavoro non basta più, da solo, a emancipare le persone perché è spesso precario, intermittente, a chiamata. «Ovviamente la struttura Fantoni è un primo segnale di una strategia che deve essere più ampia, che riguarda il tema dell’abitare e che l’amministrazione ha ben presente», dice l’assessore. «Purtroppo, e questo problema non riguarda soltanto noi, lo sviluppo e la crescita di città già attrattive come Bologna possono renderle escludenti e costose».