Il 76% degli italiani tra i 16 e i 65 anni – e, cioè, circa 28 milioni di persone – attualmente seguono almeno un influencer . Un Italiano su cinque – circa 7 milioni di persone – ne segue in media undici. I numeri sono dell’Osservatorio InSIdE di Pulse Advertising e confermano che anche in Italia l’influencer marketing ha ormai raggiunto uno stato di maturità, garantendo a chi investe audience che nulla hanno da invidiare a quelle televisive.
Cosa pensano gli italiani degli influencer però? È a questa domanda che ha provato a rispondere più nello specifico la terza wave dell’Osservatorio, dopo aver indagato in collaborazione con la società di ricerche Eumetra e il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia l’approccio di content creator e aziende.
Le abitudini social influenzano l’approccio degli italiani all’influencer marketing
L’attitudine degli italiani verso l’ influencer marketing riflette quello che è più in generale l’approccio ai social e agli ambienti digitali.
Come da altri studi su italiani e social media, così, anche dall’Osservatorio arriva la conferma che le piattaforme preferite e più utilizzate dagli italiani cambiano a seconda dell’età: la generazione z ama Youatube, Instagram e TikTok; i millennials passano più tempo su Instagram, Telegram e Facebook che rimane il medium preferito in assoluto dalla generazione x . Affezionarsi e preferire una piattaforma alle altre dipende, sottolineano da Pulse Advertising, anche e soprattutto dalla capacità di gestirne funzioni e tool per la creazione di contenuti e/o per l’interazione con gli altri utenti: piattaforme molto verticali, come TikTok per esempio, possono mettere in difficoltà così chi non è nativo digitale o digitalmente evoluto.
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, comunque, anche chi non conosce un mondo senza social, come la Gen Z, spesso si comporta da “ lurker ” e, cioè, frequenta i social in maniera passiva per guardare o ascoltare contenuti più che per produrne di propri: in questa fascia d’età appena 3 utenti su 10 producono e condividono in Rete contenuti originali.
Non solo interesse per i temi trattati: perché gli italiani seguono gli influencer
L’indagine dedicata dall’Osservatorio InSIdE a cosa pensano gli italiani degli inflencer prosegue con una classifica degli argomenti che contribuiscono a rendere i content creator più popolari e più seguiti in Rete. Ai primissimi posti ci sarebbero cucina e alimentazione, viaggi e musica. Seguono, subito fuori dal podio, abbigliamento e tecnologia.
Molti sono, però, anche gli italiani che hanno raccontato di seguire influencer e content creator “a prescindere” dai temi che trattano più spesso o su cui sono più competenti: è segno di un affetto nutrito verso la persona o a volte di un fascino voyeuristico sviluppato, esattamente come avviene per vip e personaggi famosi, verso la vita degli influencer.
A prescindere dalla fascia d’età la maggior parte degli italiani si appassiona e segue sui social più argomenti e factory: in media dai due ai quattro. Sono ancora i genZer a seguire in Rete più tematiche – almeno quattro – e i content creator che le trattano.
Per i giovanissimi, sottolinea l’Osservatorio, non c’è di fatto soluzione di continuità tra online e offline: vivono la vita in Rete come una naturale continuazione della vita reale – c’è un’espressione coniata per descrivere il fenomeno: “ onlife ” – e questo li spinge a considerare influencer e content creator alla stregua di amici. Ciò spiega perché, al contrario di Millennials e baby boomers , non seguano gli influencer principalmente per divertirsi (vero comunque per il 42% dei genZer intervistati da Pulse Advertising), ma perché incuriositi dalla loro quotidianità, dai luoghi che frequentano, da cosa scelgono di acquistare o perché desiderosi di conoscere meglio la persona.
Non stupisce, così, che in quasi un caso su tre la Gen Z cerchi di interagire con i propri influencer preferiti né che i giovanissimi siano più propensi a smettere di seguirli quando perdono autenticità o risultano coinvolti in uno scandalo (il 14% degli intervistati cita gli scandali tra le principali ragioni per il defollowing, contro appena il 2% dei Baby boomers).
Per i più giovani, insomma, la Rete è ormai un luogo di identificazione personale e ideale per scambiare opinioni.
Tra le ultime tendenze dell’influencer marketing non si può non notare, non a caso, «la creazione di canali Telegram dove i creator parlano con le proprie community condividendo chiacchiere e contenuti specifici o l’iscrizione a veri e propri canali broadcast su Instagram dove i creator condividono contenuti extra», racconta Paola Nannelli, executive director di Pulse Advertising Italia, commentando ai nostri microfoni nuovi insight dell’Osservatorio InSIdE. Sono segnali evidenti, continua, che «la relazione tra utenti e creator si sta intensificando, tanto che oggi i tradizionali messaggi in direct tra loro non bastano più».
Il desiderio di stabilire un rapporto “uno a uno” con i propri influencer preferiti non significa comunque non essere consapevoli che la vita sui social non è quella che gli influencer vivono nella quotidianità (se ne dice convinto il 40% del campione complessivo) e che alcuni messaggi sono “costruiti”.
Cosa pensano gli italiani degli influencer quando consigliano prodotti o servizi
Per i contenuti che appaiono chiaramente come frutto di una collaborazione tra brand e influencer gli italiani mostrano da “abbastanza” a “molta fiducia”: solo un 16% resta scettico.
In continuità con quanto visto fin qui sono soprattutto gli adulti che mal sopportano i messaggi evidentemente costruiti e frutto di collaborazioni commerciali: quando vi si imbattono nei feed proseguono velocemente senza guardare (così farebbe un Baby boomers su cinque) perché li considerano poco credibili.
La Gen Z al contrario risulta la più propensa ad accogliere i contenuti sponsorizzati senza fastidio, a patto che non sia tradita la credibilità (così ha sostenuto il 35% degli intervistati) e cioè che ci sia un’affinità di valori tra creator, azienda e prodotto o servizio sponsorizzato.
Come trasformare la fiducia verso gli influencer in purchase intention: i consigli di Pulse Advertising
Mentre i Baby boomers continuano a fidarsi soprattutto dei brand, più di un genZer italiano su due si fida dei consigli degli influencer tanto da prendere effettivamente in considerazione l’acquisto dei prodotti o servizi consigliati dai content creator.
Ci sono settori in cui questo processo, la fiducia verso gli inflencer che si trasforma in purchase intention, è più diretto che in altri: sono settori come beauty&makeup, abbigliamento, cucina, tecnologia, cinema e serie TV, videogiochi.
Come ci ha raccontato ancora Paola Nannelli,
«le aziende italiane ad oggi non sono ancora consapevoli al 100% di quanto l’influencer marketing possa essere una leva interessante per i loro business. Il consiglio che mi sento di dare è quello di affidarsi ad agenzie specializzate in grado di individuare gli influencer che hanno i linguaggi migliori e più adatti all’operato e al tone of voice della propria azienda: gli influencer rappresentano la voce del brand, la fase di scouting risulta strategica. È d’obbligo che influencer e brand siano spiriti affini, che condividano gli stessi valori e tendano verso obiettivi comuni, pur mantenendo la propria individualità e lo stile narrative».
Dalla prima wave dell’Osservatorio InSIdE, del resto, è emersa chiaramente l’importanza innanzitutto per gli influencer di poter collaborare con i brand senza tradire il proprio mood comunicativo, pena critiche e abbandono da parte della propria community.
Influencer: quali sono i top mind in Italia e cosa implica per le aziende
Ai partecipanti all’indagine su cosa pensano gli italiani degli influencer Pulse Advertising ha chiesto, infine, di nominare i primi influencer e content creator che venissero loro in mente.
Dominano Chiara Ferragni e Fedez: l’esposizione dei “Ferragnez” sui social d’altronde si è amplificata su ogni altro media nazionale e non. Seguono nella lista dei cinque influencer top mind Giulia De Lellis, Benedetta Rossi e Clio Make Up.
Non sempre conoscere “di nome” un influencer e il fatto che sia il primo che viene in mente quando si parla della categoria vuol dire, però, che lo si segua effettivamente: tra chi nomina e chi segue Chiara Ferragni c’è un rapporto di appena il 44%, per esempio, percentuale che cresce al 61% per Clio Make Up, al 78% per Paola Turani e addirittura al 93% per Benedetta Rossi. Non sempre, cioè, il creator più conosciuto è anche quello a cui il pubblico è più affezionato o che ha più follower e, per questo, anche le aziende non basano più – ammesso che lo abbiano mai fatto – la scelta degli influencer esclusivamente su vanity metric come l’ampiezza della community.
In Rete c’è ormai spazio per tutti, insomma, anche per micro influncer e nano influencer con community numericamente molto ridotte ma altrettanto verticali e coinvolte e, soprattutto, per quei professionisti che, da semplici fruitori, si sono trasformati in veri e propri influencer del settore di riferimento: dall’esperto di elettrodomestici a quello di fisco o attività bancarie passando l’immobiliare, sono numerosi. «Se gestiti in modo efficace – ribadiscono, infatti, da Pulse Advertising – i social permettono anche a piccole realtà di intercettare direttamente un bacino molto ampio di utenti profilati, proprio quegli stessi utenti che sono di fatto potenziali clienti».