Vaticano, pugno duro su due suore che volevano donare 50 milioni di beni al Papa: cosa è successo

Città del Vaticano – Cacciate brutalmente dalla Chiesa dall’oggi al domani come nemmeno avviene per i casi dei preti pedofili, molestatori o abusatori. In questa surreale storia succede che due monache sono state punite dalla Santa Sede con la massima sanzione prevista dopo che le religiose, insieme all’altra consorella novantasettenne, nel pieno delle loro facoltà amministrative, avevano deciso di donare a Papa Francesco i beni del monastero in cui vivevano perché di lì a poco sarebbe stato chiuso per mancanza di vocazioni, una prassi ormai abituale visti i tempi. Così le suore avevano messo nero su bianco la volontà legittima di trasferire al Pontefice il corposo patrimonio immobiliare valutato tra i 50 e i 60 milioni di euro. Evidentemente una mossa spiazzante e di certo non prevista né dal Dicastero dei Religiosi che dall’Ordine delle Clarisse (oggi riunito in Federazione): da quel momento le ultime religiose rimaste del monastero di Ravello si sono ritrovate al centro di un braccio di ferro di insolita durezza, senza esclusione di colpi, solo perché chiedevano di far valere il proprio diritto (canonico) di controllare e spostare personalmente i beni al Papa (e quindi all’Apsa), senza affidarli a terzi o ad altri enti intermediari. 

La preoccupazione esplicitata dalle suore era solo questa, come del resto affiora dalla corposa corrispondenza interna che Il Messaggero ha potuto visionare integralmente. Pec, posta certificata alla quale gli enti superiori non hanno mai risposto, documenti a corredo, valutazioni tecniche, verbali di riunioni ai massimi livelli del Vaticano. In compenso le sfortunate religiose si sono viste recapitare dalla Congregazione dei Religiosi la punizione peggiore che la Chiesa può riservare a una consacrata: il decreto definitivo della riduzione allo stato laicale mediante il quale sono stati tolti loro i voti. Da quel momento le due ex suore sono state messe sulla strada senza alcuna tutela. 

 

 

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Unica superstite l’ormai anziana ed allettata monaca 97enne, prossima comunque ad un trasferimento in una struttura assistenziale. Espulse per sempre, invece, le altre due, come se avessero commesso chissà quali reati atroci.  Suor Cristina (novantasette anni lo scorso gennaio, nel monastero a Ravello dal 1955), suor Massimiliana e suor Angela sono le protagoniste involontarie di una vicenda incomprensibile iniziata due anni fa quando la Congregazione dei Religiosi decise di “estinguere ipso iure il monastero” di Ravello che ha il controllo su un patrimonio immobiliare favoloso sulla Costiera Amalfitana – costituito da un convento dotato di un giardino terrazzato sul mare e di alcune altre proprietà in zona – proprio quello che doveva essere destinato alla carità di Papa Francesco. L’edificio, a parte le tre presenze, era ormai deserto e da tempo il Dicastero dei Religiosi procede a definire accorpamenti, individuando soluzioni razionali per garantire presenza sul territorio e, naturalmente, provvedendo anche ad alienare molti beni incassandone i proventi. 


Le due suore (ormai ex suore) visto che dovevano lasciare la struttura – atto funzionale alla soppressione decretata nel luglio 2021 –  e trasferirsi in altri conventi, all’unanimità decisero – riunite nel Capitolo conventuale – essendo le legittime proprietarie di quel ben di Dio, di regalare tutto al Papa. Nella delibera interna precisavano ovviamente che dopo aver formalizzato il trasferimento immobiliare al Pontefice, sarebbero andate a vivere dove era stato loro indicato.  Nessuna suora, dai documenti, ha mai messo in discussione il principio dell’obbedienza dovuta ai superiori. Nessuna ribellione, nessuna insubordinazione. 

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Nel frattempo venivano avviati i primi contatti preliminari con l’Apsa con la consegna al presidente, monsignor Nunzio Galantino, della autocertificazione su quanto era stato deciso nel Capitolo, in attesa di definire i passaggi successivi. Il Dicastero dei Religiosi, probabilmente orientato a neutralizzare al più presto le suore che, con la loro decisione, avevano spiazzato tutti, entra in azione d’autorità e commissaria dal punto di vista patrimoniale il monastero impedendo alle suore di gestire persino le loro modestissime spese correnti. Gas, acqua, luce, denaro per le medicine. Viene fornita loro una sola carta prepagata caricata di 500 euro al mese, ma solo per i primi due mesi e poi più nulla, costringendo le religiose ad andare avanti con la pensione d’anzianità della suora novantenne.
 

Data la situazione precaria, le suore decidono quindi di rivolgersi direttamente al Papa mediante una suppica, rendendo noto direttamente a lui l’originaria volontà, e così nel giugno 2022 Papa Francesco, attraverso la Segreteria di Stato, emette un atto formale manifestando la volontà di accettare la donazione del monastero. Di conseguenza dichiarava concluso il commissariamento, e si ordinava di ridare alle religiose la titolarità dei propri beni patrimoniali. La settimana successiva, però, il nuovo colpo di coda del Dicastero. Ignorando inspiegabilmente la volontà del Papa, notificava alle suore di Ravello i decreti di trasferimento. Le suore replicavano subito con una lettera formale accettando la volontà dell’autorità superiore a essere trasferite in qualsiasi posto indicato, ma solo dopo avere assistito al passaggio finale e definitivo delle proprietà del monastero a Papa Bergoglio. Sarebbe del resto stata una questione di qualche mese soltanto, il tempo di firmare le pratiche dai notai e trasferire le carte. 

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Per suor Angela, suor Cristina e suor Massimiliana era una questione di trasparenza e chiarezza visto che nutrivano timori: cercavano di evitare che i beni potessero essere incamerati dal Dicastero o dalla Federazione dell’ordine religioso (e non direttamente dall’Apsa) evitando così il rischio di far agire intermediari poco fidati. Le suore però non avevano scelta: se avessero abbandonato subito il monastero (obbedendo al decreto) si sarebbero trovare nella impossibilità di trasferire quel patrimonio al Papa. Una questione tecnica e giuridica. Proprio per questo chiedevano di restare a Ravello ma solo per quel brevissimo periodo, e solamente per espletare le pratiche. «Come sua Eminenza sa, infatti, l’estinzione ipso iure del monastero integra l’impossibilità materiale di trasmissione dei beni in oggetto per la carità del Papa e per converso, l’incameramento dei beni da parte della Federazione delle Clarisse Urbaniane» scrivevano le suore al prefetto dei Religiosi giustificando la posizione assunta. 
In altri passaggi interni della corrispondenza si capisce che le suore volevano evitare che quelle proprietà immobiliari ereditate nei secoli per aiutare i poveri potessero essere alienate facendo gonfiare le tasche di intermediari. Meglio destinarli al Pontefice e, tramite lui, a chi ne ha davvero bisogno.

Nell’agosto 2022 in Vaticano viene organizzata una riunione tra il Sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Pena Parra, monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa, il frate commissario che era stato nominato a suo tempo dal dicastero, la suora presidente della Federazione delle Clarisse e una monaca rappresentante delle suore di Ravello.

 

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In quella riunione, si legge dai verbali, viene stabilito (dal Papa) in via definitiva che il frate commissario avrebbe dovuto fornire il rendiconto di quello che aveva fatto nei mesi del commissariamento, oltre che restituire formalmente e civilmente gli effetti, la titolarità e la traenza di tutti i beni del monastero alle suore e che le monache sarebbero rimaste a Ravello fino al compimento necessario di ogni formalità. In tutto pochi mesi, e  poi sarebbero state smistate in vari conventi d’Italia già individuati.


Dall’agosto a oggi la potentissima congregazione dei Religiosi che gestisce, smista e fa il bello e il cattivo tempo sugli immensi patrimoni immobiliari degli ordini religiosi soppressi deve essere passata al contrattacco perché la situazione viene misteriosamente ribaltata. Alle tre suore viene recapitato un precetto di obbedienza in cui si chiedeva di lasciare immediatamente il monastero, entro 15 giorni, pena il siluramento definitivo dalla vita religiosa.

Le suore hanno inviato una nuova supplica a Papa Francesco ma mentre il Sostituto si affrettava a rassicurare le monache che la donazione sarebbe stata salva e gli accordi di agosto sarebbero stati rispettati, veniva notificato il decreto di espulsione. Silurate. Riusciva a salvarsi dalla ghigliottina solo l’anziana monaca, probabilmente perché chiaramente inerme. La cosa che risulta incomprensibile è che l’atto di espulsione è stato controfirmato dallo stesso Papa Francesco che, come si dice in gergo tecnico, l’ha approvato in forma «specifica»: tale passaggio rende, di fatto, l’atto inoppugnabile e sostanzialmente perpetuo, ma getta anche ombre sulla prassi del Dicastero dei religiosi che in questo modo blinda così tutte le sue decisioni. 

In Vaticano, oggi, assicurano che la donazione avverrà così come era stabilito dalle ex monache anche se la gestione sarà controllata direttamente dal Dicastero e che a Ravello sono state fatte arrivare altre suore sacrificando inutilmente le vocazioni di suor Massimiliana e di suor Angela.

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